Ma quanto caldo fa? 😱

Partiamo da Amman e in un paio d’ore di bus raggiungiamo Um Qais, piccolo villaggio al nord della Giordania, al confine con Siria e Israele, punto di partenza del Jordan Trail.

È mezzogiorno e da perfetti idioti decidiamo di partire subito lungo il Jordan Trail. E dopo pocho chilometri sbattiamo il naso contro due dure realtà:
– fa un caldo boia. E quando dico che fa caldo, intendo che non si respira. Si suda e manca l’aria stando fermi all’ombra. 😰
– il “trail” non è un “trail”. È un camminare in mezzo a rocce ma senza un reale traccia sotto i piedi. Senza GPS sarebbe impossibile. Non c’è nessun segno di passaggio di altre persone da seguire.

Bene. Cominciamo bene 😱
Anche questa volta abbiamo sottovalutato il terreno e il clima. Sarà piu dura del previsto 😰

Sono ore e chilometri massacranti.
Sudiamo, beviamo, sudiamo, camminiamo, sudiamo… e ad un certo punto rischiamo di metterci a vomitare.
Stiamo male. Accaldati e prossimi ad un colpo di calore.

E quando siamo ormai al limite delle forze, vediamo una casa e un bimba che scende dalle scale.
“Hello, hello” ci saluta con un grosso sorriso.
E dalle scale il padre ci fa segno di salire da loro e bere un té.
Parlano poche parole di inglese, ma ci fanno capire di sederci. Ci portano acqua fresca e un té dolcissimo.
Ci chiedono i nostri nomi. Con le poche parole di Arabo che conosciamo gli spieghiamo che cammineremo fino ad Aqaba, nel sud della Giordania.
Nonostante parliamo lingue diverse trascorriamo un’ora in loro compagnia… a segni ci capiamo… e quando decidiamo di andarcene sono dispiaciuti.
La bimba mi fa segno di dormire qui con loro. Ma è ancora presto… dobbiamo proseguire.

Rigenerati dalla pausa, si prosegue.
Il sole è meno cocente, ma la sensazione di “cappa di calore schiacciante” è ancora presente. Si prosegue lentamente e sudando.

Non ce la facciamo. Per oggi dobbiamo fermarci.
Siamo a metà della tappa ufficiale, ma non riusciamo ad andare oltre.
Quando ci troviamo davanti l’ennesima salita di rocce sciolte, decidiamo di dichiare conclusa la giornata e mettere la tenda.
Mentre ci guardiamo in giro per capire dove fare campo, dall’alto di una collinetta un bimbo inizia a salutarci. Pochi minuti dopo arriva il padre. Parla un ottimo inglese e ci chiede se serve un aiuto.
Spieghiamo che vorremmo mettere la tenda e dormire qui, perché siamo stanchi.
E lui ci risponde: “No, no. Niente tenda. Venite in casa da me. Ora vi faccio un té”.

Una serata incredibile, con persone meravigliose.
Il nostro primo impatto con la popolazione locale ci ha sorpresi e lasciato una sensazione di ospitalità strepitosa.
Prima la cena insieme a tutta la famiglia, che parlava un ottimo inglese e ci ha permesso di fare un sacco di domande, e poi i momenti che io da sola ho trascorso nella parte interna della casa insieme alle altre donne della famiglia.
Tanti aneddoti e piccoli dettagli.
La madre che, mentre mangiavamo, ogni tanto prendeva un boccone di cibo e mi imboccava, dicendomi “Mangia, mangia”. La figlia che mi chiede il significato del mio nome. Il padre, che dopo aver lavorato vent’anni nell’esercito, ora si occupa delle cento capre e le porta al pascolo ogni giorno. La raccolta delle olive.

La sera crollo addormentata, con la mente piena di dettagli e ricordi.
Stanca, distrutta, ma felice.

 

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